domenica 7 dicembre 2025

Il pensiero di Stanisław Lem tra scetticismo, scienza e immaginazione filosofica


Nato nel 1921 a Leopoli, in una famiglia ebraica profondamente integrata nella cultura polacca, questo autore visse in prima persona l’esperienza dell’occupazione nazista, della perdita familiare, del dopoguerra comunista e di una lunga fase di instabilità culturale che segnò l’Europa centrale del Novecento. Solo dalla terza frase in poi si comprende come la figura di Stanisław Lem emerga da questi eventi non come semplice narratore, ma come un pensatore che ha trasformato la precarietà storica in una forma di lucidità filosofica. Dopo gli studi di medicina a Cracovia, che non completò pur mantenendo sempre un atteggiamento naturale-scientifico verso l’uomo, iniziò a pubblicare negli anni Cinquanta, diventando rapidamente una delle voci più originali della letteratura e della riflessione europea. La sua carriera fu segnata da un rapporto conflittuale con le istituzioni culturali occidentali, come dimostra l’espulsione dalla Science Fiction Writers of America negli anni Settanta, episodio che non intaccò minimamente la sua autonomia intellettuale.

Lem era un razionalista critico, affascinato dalla scienza, ma refrattario a ogni ingenua mitologia del progresso; attratto dalla tecnologia, ma fermo nello smascherarne le promesse eccessive e la tendenza a creare illusioni concettuali. Nella Summa Technologiae, il suo testo più radicale, affronta la modernità come un enorme laboratorio di possibilità e rischi, analizzando l’idea stessa di simulazione, le ambiguità dei modelli matematici, la fragilità delle previsioni scientifiche e l’oscillazione continua tra ciò che possiamo costruire tecnicamente e ciò che possiamo realmente comprendere. La sua prosa saggistica non è mai divulgativa in senso debole, è un esercizio di vigilanza epistemica, una critica appassionata alla riduzione della complessità a slogan o strumenti narrativi rassicuranti.

La dimensione ironica rappresenta il controcanto del suo lavoro teorico. Nei racconti della Cyberiada Lem mette in scena un universo popolato da logici, inventori e creature meccaniche che, attraverso il paradosso e l’assurdo, rivelano la fragilità dei nostri procedimenti mentali. La comicità diventa un metodo di indagine, mostra come la ragione, se non è sorvegliata da un’autentica consapevolezza dei suoi limiti, scivoli facilmente nell’autocontraddizione. È lo stesso impulso che anima romanzi come Solaris, dove l’enigma non è mai un rompicapo da risolvere, ma una dimostrazione narrativa dell’insufficienza dei nostri strumenti interpretativi. Nei decenni successivi, opere come Eden, Il pianeta del silenzio e La voce del padrone rafforzano questa intuizione, ciò che chiamiamo “realtà” non è mai indipendente dai modelli con cui tentiamo di afferrarla, e ogni tentativo di descriverla rivela il confine invisibile tra ciò che possiamo pensare e ciò che resta fuori dal nostro orizzonte concettuale.

La biografia di Lem, intrecciata con i disastri del secolo, con le tensioni politiche e con la difficile condizione intellettuale della Polonia del dopoguerra, contribuisce a spiegare la durezza e, nello stesso tempo, la sobria eleganza della sua visione. Morì nel 2006, lasciando un’eredità che oggi appare più attuale che mai, una filosofia della cautela, un’etica della responsabilità cognitiva, un invito costante a non farsi sedurre né dalle semplificazioni ideologiche né dall’euforia tecnologica. La sua opera costituisce un monumento alla complessità, una difesa della ragione come disciplina e non come idolatria, un appello a riconoscere che pensare significa soprattutto misurare la distanza tra ciò che sappiamo e ciò che non possiamo ancora nominare.

 

Roberto Minichini, dicembre 2025 

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