Tre o quattro anni fa si consumò una vicenda che, nata come
fatto privato, è diventata una leggenda urbana raccontata ancora oggi nei
caffè, nei salotti e sui social. Lei era una donna di grande intelligenza e
prestigio, colta, poliglotta, capace di muoversi con naturalezza tra potere,
cultura e affari. I capelli rossi naturali, lo sguardo lucido, la voce ferma:
apparteneva pienamente al suo tempo, ambiziosa, aggressiva, determinata. Lui
invece era l’opposto. Un uomo fuori tempo, un contemplativo nato nel secolo
sbagliato. Parlava troppo, a volte per ore, di filosofi dimenticati, lingue
morte, idee che non interessavano a nessuno. Poi taceva per giorni, come se il
mondo reale non lo riguardasse. Eppure era di una gentilezza squisita: educato,
buono, sensibile, di un’umanità che spiazzava. Salutava perfino gli
sconosciuti, ringraziava per ogni piccola cosa, si scusava anche senza motivo.
Viveva in un universo suo, dove il tempo non scorreva ma si posava come
polvere. Avevano tre figlie molto piccole, tutte con i capelli rossi di lei e
gli occhi scuri di lui. Vivevano insieme ma non erano sposati. Lei e la sua
famiglia volevano a tutti i costi il matrimonio, una forma, un ordine, una
cornice rispettabile. Ma lui rifiutava con una calma ostinata. Diceva che non
credeva nei contratti, né nelle cerimonie, né nelle firme. Per lei era
un’eresia, per la sua famiglia un’umiliazione. Eppure lei lo manteneva nel
lusso. Gli dava denaro “per andare a fare sport”, ma lui lo spendeva nei
migliori ristoranti, dove pranzava da solo come un degenerato raffinato,
circondato da tovaglie di lino e camerieri in guanti bianchi, dedicandosi ai
piaceri della gola con la calma di chi non ha più nulla da perdere. Un
pomeriggio alcuni turisti stranieri lo fotografarono in un locale elegante:
sedeva da solo davanti a un tavolo enorme, imbandito con ostriche, tonno
scottato, riso pilaf con verdure, melanzane grigliate, dolci orientali al miele
e due bottiglie di birra analcolica servite in calici da vino. L’uomo, sereno,
tagliava piano la carne di pesce con la forchetta in mano, assorto come in un
pensiero lontano. Le foto finirono sui social e divennero virali. Lei le vide,
riconobbe il posto, prese la macchina e andò di corsa. Lo trovò ancora lì,
gentile con i camerieri, calmo, con la forchetta sospesa a mezz’aria. La
scenata fu tremenda. Gli urlò contro, lo insultò davanti a tutti, lo chiamò
“Oblomov” e poi “Idiota”, gridando che aveva sprecato la sua vita e la sua
intelligenza, che era un codardo e un fallito. I camerieri raccontarono ogni dettaglio
e in poche ore la storia si diffuse ovunque. Nei bar, negli uffici, nei
ristoranti si rideva di quella scena: lei furiosa, lui immobile, educato, con
la forchetta in mano e lo sguardo perso altrove. Qualche settimana dopo,
durante un pranzo con i parenti di lei, l’uomo si alzò da tavola, posò il
tovagliolo e disse semplicemente: «Scusate, torno subito.» Uscì di casa,
attraversò la strada e non tornò mai più. Da allora nessuno lo ha più visto.
Quella scena divenne il secondo capitolo della leggenda: “Il filosofo fallito
che si alza da pranzo e sparisce per sempre.” Lei, furiosa per l’imbarazzo
pubblico, decise di porre rimedio. Mandò persone di fiducia, accademici,
giornalisti, colleghi influenti e persino un sacerdote esorcista a lei vicino,
per convincerlo a tornare o almeno a dare spiegazioni. Ma anche questa
iniziativa trapelò e divenne ulteriore motivo di scherno: “La donna di
prestigio che manda professori e un prete a recuperare il filosofo fallito.” I
nomi circolavano, le risate pure. Lui, nel frattempo, riceveva tutti con la sua
solita gentilezza: offriva una birra analcolica, ascoltava, annuiva,
ringraziava. Ma non cambiava nulla. Rimaneva fermo, calmo, testardo come un
mulo, ma sempre buono, sempre cortese, impenetrabile a tutto. Col passare del
tempo, lei tornò a imporsi nel suo ambiente, impeccabile, determinata,
cambiando colore ai capelli come si cambia stagione, ogni tinta una
dichiarazione di potere. Ma nessun successo riuscì mai a cancellare le due
immagini che circolano ancora oggi come simboli di una commedia moderna: lui
con la forchetta in mano davanti al tavolo imbandito e poi lui che si alza da
tavola e sparisce. E, come concludeva l’articolo originale della stampa estera,
forse non abbiamo perso un semplice eccentrico o un uomo fragile, ma qualcosa
di più raro: un vero Idiota del ventunesimo secolo.
( Testo di Roberto Minichini )